Autoanalisi da IKEA


Ufficiosamente / lunedì, Febbraio 5th, 2018

Credo che poche cose siano emotivamente più devastanti della progettazione di una cucina IKEA. E badate bene, io adoro IKEA. Adoro vagare per quelle riproduzioni di case perfette che ti fanno sperare di avere anche tu, un giorno, una casa così. Adoro comprare oggetti che a volte si rivelano utilissimi altre volte invece si inceneriscono appena varcata la soglia del negozio perché non verranno neanche tirati fuori dalla busta di carta in cui li abbiamo ficcati. Adoro quelle patatine stranamente dure eppure saporitissime, mi ricordano la mia gioventù, quando di IKEA ce n’era una sola in tutta Italia e andarci era considerata una gita fuori porta. E per me è ancora così quando ci vado.

Per questo potrei continuare all’infinito, raccontando le cose che mi piacciono di quel luogo magico. E sempre per questo, ci tengo a precisare  che le cose scritte di seguito non sono assolutamente contro il marchio, l’azienda, le persone tanto pazienti e professionali che ci lavorano, ma vogliono dimostrare come la ricerca della perfezione, che in questo caso passa appunto attraverso la progettazione di una cucina, possa diventare un momento di autoanalisi unico e irripetibile.

Non pensate mai che “tutto si può fare”.

Esistono regole dello spazio che voi non sospettate e che non potrete mai controllare. Esistono necessità dei tubi, delle prese, delle sporgenze, che neanche Gandalf dopo essere diventato “Il Bianco” potrebbe risolvere, quindi non crediate che sarete voi a poterlo fare. Quando arrivate su quella sedia stringendo tra le dita fiduciose il pezzettino di carta con le misure della stanza che volete arredare inizia il doloroso percorso verso la comprensione di quanto la realtà sia schifosa rispetto alle nostre aspettative, sempre. Certo, il dubbio che mancasse qualcosa vi doveva forse venire nel momento in cui vi è bastato un semplice post-it giallo per segnarle, o peggio, il retro della carta di un cioccolatino. Accettare quello che non si può cambiare o controllare è fondamentale per avvicinarsi alla serenità.

Le misure.

Le misure non sono mai quelle due che credevate voi, la base per l’altezza, magari la profondità, perché si scopre sempre troppo tardi che c’è un modulo pieno di “dx” e “sx” da compilare. Un modulo che pure qualche architetto ha difficoltà a leggere, figurarsi una come me che non sa fare le divisioni. Ma è sempre grazie al modulo che si comprende quanto sia vasto e inconoscibile il mondo della progettazione in confronto alla posizione degli attacchi, che devono essere al di sopra, a destra, a sinistra, di lato, fare una svolta e non so più che altro. Bisogna essere curiosi nella vita e non spaventarsi delle cose che non si sanno.

Archiviata la consapevolezza che qualsiasi misura presa, almeno la prima volta che ci si prova,  sarà sempre una parte di quelle che servono, non bisogna demoralizzarsi, anzi proseguire imperterriti, perché è sbagliando che si impara.

Gli elettrodomestici.

Giustamente il progettista IKEA non può stare con voi e spiegarvi tutte le qualità di ogni singolo frigorifero, forno o lavastoviglie. Non gli reggerebbe la pompa. Se non venite preparati non lamentatevi se dopo non vi piace il pulsante dell’accensione. Un atteggiamento sbagliato infatti è andare là e dire: “voglio spendere poco” o “voglio spendere molto”. Bisogna sapere cosa si vuole nella vita, anche a partire dagli elettrodomestici.

Gli interni dei mobili e le loro aperture.

Ogni anta ha un verso, e non è detto che sia quello giusto. Quando si progetta il singolo mobile va considerato in relazione agli altri, soprattutto alle altre ante, mentre per gli interni dobbiamo tenere presente quello che veramente metteremo in cucina. Se ci dimentichiamo i cassetti non avremo spazio per le posate, viceversa se ci impuntiamo sul mobile a cestelli potremmo non sapere dove tenere le pentole fuori misura o le bottiglie. La disposizione interna della cucina è un ecosistema delicato che non ammette troppa fantasia, anzi, richiede un senso di praticità che solo pochi fortunati hanno. Io per esempio non ce l’ho e sceglierei solo mobili con le cerniere automatiche perché mi piace il movimento di quando li apri e poi si richiudono piano piano, è ipnotico. La concentrazione aiuta a migliorare le prestazioni.

Le finiture.

Delizia e dannazione che decidiamo sempre alla fine. Quando ormai abbiamo spremuto il progettista ma anche noi ci chiediamo se non sia meglio fare un abbonamento a just eat e chiuderla là. Eppure bisogna decidere i colori, gli abbinamenti del piano e degli sportelli: laccato, opaco o con qualche effetto. Per non parlare dei materiali: legno, finto legno, truciolato di legno, lamina, plastica ecc… Qui i dubbi peggiori vengono a bussare alla nostra coscienza e ci chiediamo se il materiale che abbiamo scelto riuscirà a sopravvivere alla nostra imperizia e sbadataggine, alle bruciature accidentali, ai tagli dei coltelli, ai liquidi versati. Nel momento in cui ci troviamo a dover indicare quello che vorremmo facciamo i conti con quello che realmente siamo: dei potenziali distruttori. E pure questo è un altro importante momento di outing.

Ma tutto questo ha un prezzo, che in realtà non paghiamo noi, bensì il gentile, altruista progettista di IKEA. Ogni volta che accetta di progettare una cucina per noi, egli diventa il mezzo per la nostra autoanalisi, lo specchio davanti a cui ci riflettiamo e riscopriamo le nostre debolezze, come un novello capro espiatorio che dimentichiamo di ringraziare come dovremmo, soprattutto quando vediamo il conto di quanto costa la cucina, e pensiamo che forse potevamo togliere un paio di cosette e scegliere un’altra finitura…

2 Commenti a “Autoanalisi da IKEA”

  1. Ciao Giovanna grazie per le tue storie, piacevolissime da leggere. Una curiosità, quanto tempo hai aspettato perché il progettista ti desse retta? Spero nn il tempo che tu impieghi per accettare un’amicizia…

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