Dolci disavventure


Le ricette di Piantatastorta, Ufficiosamente / mercoledì, Settembre 16th, 2020

Il lockdown è finito ma io ho ancora degli strascichi. Ho finito di fare panini al latte e torte, ma mi è rimasto come un alone di follia che mi spinge, in momenti inaspettati, a improvvisare ricette che avevo visto nel periodo della clausura e che non avevo avuto il coraggio di provare perché troppo spericolate.

Così un giorno, facendo la spesa, vedo una confezione di albumi d’uovo già pronti e la compro, spinta dal vago ricordo di qualcosa che avrei dovuto fare e non ho fatto, come un sogno dimenticato in parte, ma che comunq ue ci lascia la sensazione del dejà-vu.

L’albume aspetta paziente in frigo per una settimana, poi controllo la scadenza e decido che l’acquisto compulsivo deve essere giustificato da un’azione altrettanto compulsiva e mi metto a cercare una ricetta con tanti albumi. La torta con gli albumi era troppo scontata, la frittata sarebbe andata bene per cena, poi eccola là, apparire tra le more di quelle ricette che promettono faville: “la torta con solo tre ingredienti”: albume, zucchero e acqua. C’è un video in russo che mostra una serie di mosse apparentemente stupidissime e la realizzazione di un dolce che mi ricorda l’Ile flottante, una specialità francese che adoro legata ad un viaggio bellissimo.

Mossa da spirito intrepido e assoluta incoscienza decido di tirare fuori Prospero, il mio fido robottino che monta impasta e frulla, e inizio la preparazione di quella che veniva descritta come una meraviglia per il palato.

Ma andiamo con ordine, la prima azione era fare il caramello. Anche io, come molti, ho avuto la mia fase “caramelle”, ovvero ho avuto un periodo della mia vita in cui mi piaceva fare le caramelle mou. Ho vari stampi che lo testimoniano. Quindi mi sentivo molto preparata in merito al tema “zucchero sciolto nella pentola”. Un peccato di hybris ( o iubris ovvero tracotanza dell’uomo) che ho pagato subito.

Presa infatti dalla troppa sicurezza ho sbagliato la pentola, lo zucchero non fondeva mai, ma soprattutto la temperatura dell’acqua che andava aggiunta al momento della fusione. E quando ho buttato l’acqua troppo fredda si è creata una palla frizzante intorno alla spatola di legno che mi ha mandato nel panico. Ma non ho ceduto, ho continuato a girare e i miracoli della chimica mi hanno salvato, almeno credevo. Lo zucchero si è liquefatto di nuovo e ho potuto versare il caramello nello stampo.

Compiuta questa prima operazione che mi era sembrata molto più difficoltosa del solito, ho pensato che la parte affidata a Prospero sarebbe andata meglio, il mio prode aiutante meccanico non mi aveva mia abbandonata nei momenti delle torte, anzi, aveva garantito sempre il successo di composti spumosi e ben montati. Mi accingo quindi a montare gli albumi aggiungendo lo zucchero ed ottengo dopo poco quello che volevo: una meringona bella lucida che per me si poteva mangiare anche cruda.

Inebriata da tutto quello zucchero, verso il composto nello stampo e scopro che l’entusiasmo nella scelta del contenitore era assolutamente mal riposto perché troppo piccolo. Ma non mi faccio scoraggiare, decido che con l’impasto avanzato farò delle meringhe, del resto ad occhio mi sembrava la consistenza giusta e avevo una scusa per usare la sac à poche, altro oggetto acquistato durante il lockdown e lasciato a prendere polvere.

Quindi posiziono la torta in un’altra pentola per cuocere il tutto a bagnomaria, butto nel forno e preparo le meringhe facendo dei piccoli bottoni bellissimi, che inforno insieme alla torta.

Passano venticinque minuti in cui fisso il forno inginocchiata e mentalmente prego, perché ritengo che solo un miracolo possa garantire il successo dell’iniziativa, e quando vedo che la torta inizia a virare al marrone la sforno, lasciando le meringhe a cuocere per un tempo che non ho ancora deciso, anche perché controllare adesso la ricetta mi sembra rischioso, avrei potuto individuare almeno cinque errori che avevo fatto e che mi avrebbero riempito di amarezza, invece andare incontro ad un fallimento che non era ancora certo mi sembrava, in quel momento, l’idea migliore.

Così tiro fuori la torta e mi concentro su di lei. La fisso un po’ nello stampo, è anche cresciuta, sembra cotta, ma nella videoricetta non dicono che debba raffreddare, anzi la capovolgono subito. O almeno è quello che voglio vedere io, perché sono troppo impaziente di ammirare il risultato della mia bravura.

A questo punto le cose si fanno confuse, nel senso che non ho una memoria precisa di tutti gli sbagli nell’ordine in cui li ho commessi, diciamo che c’è stata una sequenza di malaugurate idee che si sono sovrapposte e hanno portato al capovolgimento maldestro del dolce, che è si, è uscito dallo stampo, è anche si arrivato sul piatto, ma non tutto intero. E’ successa una di quelle cose che credevo succedessero solo a Bake off Italia: la torta si è rotta. O meglio si è spaccata ma non del tutto, ed essendo di fatto una enorme meringa morbida circondata da un caramello troppo liquido ho provveduto con destrezza a riavvicinare i lembi e a imprecare in modo adeguato. Il danno c’era, era visibile ma in generale, essendo comunque uscita tutta un po’ mordicchiata dalla teglia, nel complesso si andava ad inserire nella generale bruttezza del dolce.

A quel punto mi sono girata verso le meringhe, loro si che erano belle, loro si che mi avrebbero dato soddisfazione, potevo rifarmi, potevo tirare su il mio punteggio di pasticcera casalinga del giorno. Ma anche là era solo l’illusione dello zucchero che mi faceva pensare di cavarmela perché non avevo voluto vedere il video di Massari e sappiamo tutti che la presunzione va punita.

Così inizio a fissare di nuovo il forno, indecisa su come comportarmi, le tiro fuori una prima volta e sono molli, abbasso e lascio aperto un po’ lo sportello e decido che le terrò un’ora, ma ogni quindici minuti andavo a controllarle con la paura di bruciarle e chiamavo genitrice e amica dando il cordoglio con l’avanzamento della cottura. Ad un certo punto, spinta ancora dalla mia impazienza e dall’idea che si stessero tostando compio un atto ardito: le tiro fuori.  Sembrano cotte, ne mangio anche una, sembra quella della pasticceria. Inizio il balletto della vittoria e mando tronfia messaggi a tutte le mie solidali dichiarando il successo del progetto. Intanto metto la torta in frigo sperando che il caramello si rapprenda un po’ e pensando che comunque non sarebbe stata il piatto forte della cena.

Dopo i festeggiamenti quindi lascio le meringhe sulla teglia e vado a godermi il riposo della guerriera sul divano davanti ad una serie tv.

E la storia sembrerebbe finita qui, ma nessun buon film dell’orrore finisce così, è proprio nel momento in cui il protagonista si rilassa che succede qualcosa di tremendo e inaspettato, il colpo di scena, il maniaco che non è morto, o l’arrivo di un altro maniaco o la scoperta di aver sbagliato maniaco.

In questo caso la scoperta che quando una meringa sembra cotta in realtà non lo è.

Ebbene si, mi alzo bella serena e vado a preparare la cena, mi avvicino al vassoio, allungo la mano per prendere il primo dolcetto e succede l’inaspettato: le dita rimangono incollate. Ma non leggermente appiccicose come quando ci rimane un po’ di zucchero del cornetto sulle dita, proprio come quando attacchiamo una cosa con l’attak e quello ci incolla la pelle. Non ho il tempo di rendermi conto di quello che sta succedendo, per un attimo ho il flash di una mosca sulla carta moschicida, faccio per alzare di scatto la mano e tutte le meringhe, come fossero diventate vive, si attaccano le une alle altre e tutte insieme mi aggrediscono e mi si attorcigliano intorno alla mano.

Non posso descrivere l’orrore. Quello che sembrava un innocuo vassoio di dolcetti fatti con tantissimo amore è diventato un mostro mutante di glucosio che vuole mangiarmi la mano. La scuoto senza troppi complimenti e riacquisto la lucidità per non rimanere appiccicata con l’altra mano ma rimango ad ammirare la nuova composizione delle meringhe, immortalate in una torre confusa di zucchero che rende il tutto immangiabile.

Resto attonita a fissare il tutto per alcuni secondi, la mestizia è troppo grande, immortalo con il cellulare a futura memoria il mostro prima di decidere che sarà seppellito con esequie private che implicheranno due sacchetti di plastica, visto che si attacca a qualsiasi cosa anche che gli si avvicini, poi guardo il frigo, penso alla torta e mi rendo conto che forse cucinare, dopo il lockdown, non è stata poi una buona idea.