Edvard Munch – L’urlo


Ma l'arte serve? / venerdì, Aprile 27th, 2012

Edvard Munch era una persona sensibile ed un pittore ispirato, che usava l’arte per portare fuori i suoi stati d’animo e magari cercare di alleggerirsi il cuore. “Il grido”, o “L’urlo”, racconta uno di questi stati d’animo ed il momento in cui è stato vissuto.

E’ la trasposizione di un ricordo, il pittore che attraversa un ponte al tramonto con degli amici e all’improvviso viene preso da una sensazione di tale angoscia che blocca e deforma tutto quello che lo circonda. Una sensazione talmente intima che non viene percepita dai suoi compagni, i quali continuano la passeggiata ignari di quello che gli succede.

Così nel vortice delle linee che si sovrappongono loro restano eretti, sicuri, neri, mentre l’aria diventa solida, la luce assume l’aspetto di una lava incandescente e il protagonista perde le fattezze umane, per diventare una figura senza connotati, una rappresentazione universale dell’angoscia.

Angoscia e panico vanno a braccetto e Munch qui ci racconta un attacco di panico. Chi ne soffre lo avrà capito subito, perché la caratteristica di questo stato d’animo é prima di tutto l’estraniamento dalla realtà. Il panico ci porta in una dimensione intima in cui  le cose reali perdono consistenza e coerenza e noi ci sentiamo schiacciati da responsabilità, situazioni, azioni, che non pensiamo di poter più gestire e controllare.

E tutti questi pensieri, che sono alla base del sentimento che proviamo, perdono la consistenza delle frasi e delle parole per diventare sensazione pura, cuore che batte troppo in fretta, respiro che manca, vuoto che ci inghiotte.

L’attacco di panico rappresenta il contatto puro con la nostra anima perché è espressione di questo estraniamento totale. Ci porta in una dimensione che possiamo controllare solo noi e ci dimostra quanto siamo vittime della realtà che ci circonda.

Credo che il panico rappresenti la nostra reazione all’angoscia, credo che rappresenti la nostra ribellione inconscia a quei condizionamenti che noi stessi ci imponiamo, ovvero è quella parte del nostro cervello che cerca di riequilibrare i valori della nostra anima. Così è proprio allontanandoci dalla realtà che possiamo poi rientrarci con maggiore lucidità, perché è come se scaricassimo in un unico gesto le scorie delle sofferenze accumulate in silenzio. La paura diventa così qualcosa di necessario nella nostra esistenza e che richiede l’acquisizione della coscienza.

Qui Munch ci dice: “Io ho avuto paura, e tu?”. E io, quando guardo questo quadro gli rispondo: ”Si ho avuto paura anche io. E ora che lo so, ne ho di meno”.