Giona e la balena di Antonio Tempesta


Ma l'arte serve? / lunedì, Ottobre 21st, 2019

Giona è un profeta del Signore che viene chiamato a fare una cosa che non vuole fare. Dio gli dice di andare a Ninive e convertire la città così da salvarla. Ma Giona odia quella città e tutti i suoi abitanti, per questo scappa dalla richiesta e si imbarca per allontanarsi il più possibile. Il suo viaggio però non è fortunato, è abbastanza scontato che non si possa sfuggire all’onniscienza del Signore, così la nave su cui viaggia finisce in una tempesta e proprio prima del naufragio il profeta confessa ai marinai, che rischiano la vita per colpa sua, il suo peccato. I marinai seguono il suo invito a salvarsi e lo buttano in mare, tra le fauci di una balena, per liberarsi definitivamente di lui e ritrovare il mare calmo.

Giona nella pancia della balena passa tre giorni e tre notti, così da avere il giusto tempo per riflettere sulle proprie colpe e rassegnarsi all’idea di non essere padrone del suo destino. Una volta risputato illeso dal pesce mostruoso si piega al volere di Dio e compie senza gioia ciò che gli è stato ordinato di fare. Non continuo nella narrazione della storia di Giona, perché la parte più famosa e più raccontata è proprio l’episodio della Balena, che racchiude in sé tanti valori simbolici. Prima di tutto il riferimento a Gesù e alla risurrezione dopo tre giorni, che rende questo episodio molto diffuso nell’arte paleocristiana.

Il quadro che vi propongo è però più tardo, della prima metà del Seicento, ed è stato dipinto da un pittore che, guarda caso, si chiama Tempesta.

E la tempesta è resa nella sua violenza terribile, fatta di un vento talmente forte da spezzare l’albero della nave, mentre le onde sembrano quasi scogli per come sono scure e compatte mentre si alzano verso un cielo reso notturno dal maltempo.

Eppure la luce divina non abbandona la scena e illumina il momento drammatico del tuffo in mare rischiarandolo dall’angolo destro.

Intanto l’azzurro che si intravede in lontananza preannuncia la risoluzione felice della storia per i marinai, mentre il povero profeta, nudo, si cala direttamente nella bocca di un mostro marino che sbuca tra le onde.

La nudità di Giona ha molte funzioni, pratiche e simboliche. Il corpo pallido spicca tra i volti abbronzati e permette di riconoscerlo subito rispetto alla folla dei marinai che si aggrappano gli uni sugli altri. Ma richiama anche il tema dell’anima, che si mostra al giudizio del Signore sempre spoglia di ciò che è materiale.  E l’anima viene inghiottita da un pesce che lo porta in una sorta di caverna priva di luce, rapita dal buio e dal silenzio, gettata nell’assenza della Grazia di Dio, in modo che possa superare la propria confusione e ritrovare l’ordine della fede che sembra aver smarrito. Infatti Giona nella pancia della balena prega, chiede la salvezza, ma soprattutto trova la capacità di accettazione che lo porta, una volta risputato fuori, a compiere le azioni richieste, mantenendo però la coscienza che non sarebbero state la sua volontà.

Dio è quindi misericordioso, perché perdona il peccato di presunzione dell’uomo, ma anche irremovibile: i capricci non vengono ammessi e sono puniti. Sta all’uomo capire i suoi limiti, accettarli e piegarsi ad una volontà che non può essere discussa perché sopra l’ego e la piccolezza del singolo. Perché se da un lato Giona subisce una forzatura, ovvero viene punito perché vuole affermare se stesso, dall’altro è un dato di fatto che la sua sia una scelta puramente egoistica: lui odia i rivali politici e vuole il loro male, Dio gli propone di salvarli ma lui è talmente accecato dal suo odio personale da non vedere il buono del piano di Dio. E alla fine neanche la punizione serve a redimerlo veramente, perché il profeta compie il volere del Signore ma continua ad odiare le persone che salva.

E’ quindi una storia un po’ amara quella di Giona, perché se da un lato racconta la possibilità della salvezza e della redenzione una volta raggiunto il fondo, se pure ci dice che se ci troviamo nel buio a causa della nostra paura o del nostro egoismo possiamo sempre uscirne e ritrovare la luce, dall’altro lato ci ricorda che forse la redenzione la riceviamo anche quando non ce la meritiamo fino in fondo, perché certi difetti che abbiamo vengono superati dagli altri con l’indulgenza, ma rimangono nei nostri pensieri anche quando le azioni che compiamo sembrano quelle che richiedono la morale e la giustizia.