Gli iceberg di Frederic Edwin Church


Ma l'arte serve? / domenica, Dicembre 13th, 2020

A trentasette anni dal Naufragio della Speranza di Caspar David Friedrich (di cui ho parlato qui http://piantatastorta.altervista.org/il-naufragio-della-speranza/) il pittore americano Frederic Edwin Church propone un altro paesaggio artico ed una nave vittima dei ghiacci. Ma se Friedrich racconta il momento drammatico della distruzione dell’imbarcazione ponendola al centro, Church rappresenta la vittoria già conquistata, il ghiaccio ricomposto, e lascia intuire la tragedia posizionando ai margini della scena i resti di un albero di una nave.

Quindi dovrebbe essere l’immagine di un paesaggio morto, sia perché l’uomo non è più presente sia perché nel ghiaccio non cresce niente, eppure racchiude una vitalità sorprendente. E questo grazie ad una serie di caratteristiche del soggetto e della composizione ovvero la natura degli iceberg, che si muovono sull’acqua e rendono il paesaggio imprevisto e imprevedibile, e la resa del bianco, utilizzato in diverse tonalità che si fondono con il blu, il verde e il rosa.

La luce soffusa che dal cielo si riflette nell’acqua, mossa da onde piatte e regolari, suggerisce quel movimento impercettibile che trasforma gli iceberg in una trappola per gli uomini. E se il movimento quindi è presente, viene da chiedere se lo sia anche il silenzio.

Perché questa in rappresentazione di una natura potente e spietata, tremenda nella sua bellezza fuggevole, che non accoglie l’uomo ma lo respinge inesorabile, ci sembra di sentire il rumore dell’acqua che si muove, del ghiaccio che si alza, del vento che sposta le nuvole di un cielo corposo quanto i blocchi innevati che lo riflettono.

Nei suoi iceberg Frederic Edwin Church racconta il freddo incanto di un mondo senza uomini, che basta a se stesso, e per questo risulta comunque vivo e completo.