“Hai detto a me?” Tecniche di litigio e giustificazione


Ufficiosamente / venerdì, Ottobre 12th, 2012

Ho voglia di litigare. A voi non capita mai? Quando arriva lo spirito rissoso c’è poco da fare, o si decide di non rivolgere la parola a nessuno e scaricarsi su oggetti inanimati, tipo spezzare matite, rompere bicchieri, scagliare bottigliette di plastica sulle pareti, oppure si sceglie un bersaglio umano in movimento e si cerca di colpirlo a suon di insulti.

Quando poi si mettono insieme le due attività e si cerca di colpire il bersaglio umano con l’oggetto inanimato si raggiunge il massimo livello della rissosità.

Del resto essere aggressivi fa parte della natura umana, dovremmo imparare a non giudicarlo come un atteggiamento negativo, ma anzi a vederlo come un sano attimo di sfogo e verità. Perché di solito quando si è arrabbiati, quando si discute con qualcuno, si dice sempre quello che si pensa realmente e si porta fuori un cumulo di emozioni che prima o poi vanno scaricate.

Così ci sono tante tecniche per iniziare a litigare. Gli antichi romani, quando dovevano iniziare una guerra, prendevano un poveraccio e lo buttavano in mezzo al campo di battaglia a fare gestacci e mandare insulti all’avversario così, quando questi avesse reagito alla provocazione, si sarebbe preso lui la colpa dell’inizio della guerra davanti agli Dei, e non i romani.

Questo per dire che anche il tema: “chi ha iniziato?” è importante.  Perché la giustizia è un valore che ci perseguita, anche quando vogliamo discutere con qualcuno. Si discute per dire che si ha ragione, si discute per far valere le proprie idee e dimostrare che si è capito quello che l’interlocutore si ostina a non vedere, ma soprattutto si discute per fargli capire che deve stare al suo posto e il suo posto è sotto di noi.

Tralascio le squallide liti tra automobilisti o tra automobilisti e pedoni, sono troppo brutali e prolisse. Anche perché non guido e quindi sono sempre dalla parte del pedone.

E’ importante fare come gli antichi romani, trovare una scusa, creare una provocazione. Essere adorabili ed irritanti è un’arte. Di solito si parte dallo studio del nemico, capire cosa gli dà fastidio, come una luce accesa in un punto dell’ufficio che, secondo lui, gli trafigge gli occhi. Se si arriva presto si accende la luce e poi si lascia fare al fato. Oppure si spostano leggermente le scrivanie in modo da creare risse sugli spazi di calpestio.

Hanno un fascino diabolico le riunioni di condominio, dove sembra che ognuno lasci a casa il cervello e lo sostituisca con la clava dell’antenato preistorico. La lingua italiana diventa una fonte inestinguibile di equivoci e insulti creativi, basta introdurre argomenti banali come  il colore dello zerbino all’ingresso del palazzo o l’orario della pulizia delle scale per intavolare risse dai contorni epocali.

Anche le file regalano momenti importanti per dare sfogo alle nostre frustrazioni, basta semplicemente posizionarsi in modo equivoco, che faccia intuire la volontà di scavalcare il nostro vicino, ed il battibecco è assicurato. Le migliori sono nei negozi di complementi di arredo nel momento dei saldi, quando le casse sono sovraffollate di acquirenti che comprano ninnoli improbabili e lenzuola scoordinate.

Per finire le risse con gli autisti degli autobus, una tecnica molto diffusa a Roma, dove la materia prima è notevole. Basta prendere un autobus dopo aver aspettato trentacinque minuti, neanche si fosse nella periferia di un paese dell’Uganda, e vedrete come sarà facile posizionarsi accanto all’autista, che non si deve disturbare, e iniziare a urlare al cellulare in una conversazione inesistente con vostra madre. Fare in modo che ci zittisca ed innescare la discussione sarà un soffio, che durerà fino alla nostra fermata, coinvolgerà qualche vecchietto e finirà con insulti coloratissimi che solo un autista di un mezzo pubblico impara con la lunga permanenza sulla strada.

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