Ho quel che ho donato


Ufficiosamente / lunedì, Gennaio 26th, 2015

papàIl sabato pomeriggio si andava a Gaeta. A Gaeta c’erano quattro cose: le tielle, le giostre, il mercato del pesce e la libreria.

Le giostre le vedevo dalla macchina, non mi ci portavano mai, le tielle si compravano qualche volta, non sempre, la libreria e il mercato del pesce erano invece le tappe fisse.

Si andava prima in libreria, ed era il momento più bello, era l’unico posto dove potevo andare in giro da sola e dove potevo comprare tutto quello che volevo.

Mi aggiravo per gli scaffali e compravo libri sui cani, non potevo avere un cane ma potevo avere tutti i libri che volevo sui cani, e romanzi per bambini, libri sugli gnomi e cose tipo “Basil l’investigatopo”. Non ricordo che altro comprassi, ma ricordo che arrivavo alla cassa con le braccia piene e uscivamo con le buste altrettanto piene.

Poi passavamo al mercato del pesce, una fila di bancarelle dei pescatori che alla sera portavano il lavoro della giornata.

Là cercavamo i pesci strani, se c’erano squalotti, granchi, animali fantastici che non si potevano vedere da nessun’altra parte e compravamo qualche volta le sogliole, altre i calamari o i gamberi. La rana pescatrice mi faceva paura mentre se prendevano le ostriche ci rimanevo male perché non mi piacevano, al contrario delle telline, che però non trovavo mai.

Avevo otto anni e questo è il ricordo che ho dei sabati con mio padre.

Adesso ne ho trentotto e non posso fare a meno di piangerlo per la sua assenza improvvisa.

Grazie a lui la mia vita si regge sull’amore, sul pensare e sull’empatia. So cos’è il rispetto e lo applico mio malgrado. So distinguere tra il bene e il male sia per me che per gli altri. Mi sento sempre un po’ fuori posto proprio per tutto quello che sono, per questo senso acuto della realtà e delle sue infinite sfaccettature.

In questo momento di assoluta mancanza, sento il pieno della profonda coscienza di essere così grazie a quei sabato pomeriggio, a quelle chiacchierate semplici fatte nei momenti del quotidiano, agli abbracci, agli esempi che mi ha dato e alle persone e le storie che attraverso di lui ho conosciuto.

Mi guardo allo specchio e mi sento fortunata perché trovo il naso di mio padre, i capelli di mia madre, il ricordo delle occasioni che mi hanno dato e che mi hanno portato al punto in cui sono ora: ovvero alla consapevolezza preziosissima che, nel bene e nel male, mio padre mi ha cresciuto, non mi ha mantenuto, e che per questo lo amerò sempre.

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