Ippolito Caffi e l’eclisse del 1842


Ma l'arte serve? / lunedì, Giugno 17th, 2019

Il sole e la luna si incontrano e ne nasce il buio. Ecco in fondo cosa è un’eclisse. Sempre impressionante, perché dà il senso di un evento non solo straordinario, ma quasi disastroso, come un incidente annunciato, un incontro che non può portare a niente di buono perché cambia l’ordine del mondo. Un ordine in cui il giorno è dominato dal sole e la notte dalla luna, separati e destinati a non incontrarsi perché il ciclo delle cose funzioni sempre.

Aggiungiamo un tempo in cui potremmo definire la visione del quotidiano “limitata”. Una visione in cui le immagini sono solo quelle delle chiese e dei luoghi della ricchezza e del potere, in cui è più diffusa la narrazione delle meraviglie del mondo che la possibilità di vederle con i propri occhi, ed ecco che l’eclisse dell’8 luglio 1842 rappresenterà un momento indimenticabile nella vita dei Veneziani, che vedono sparire il sole alle 8 di un mattino estivo ma soprattutto nella vita di un artista, che decide di imprimere nella tela un momento che gli ha segnato l’anima.

Ippolito Caffi, pittore bellunese dal carattere indomito ed energico, racconta così lo sconvolgente momento in cui il sole si spegne.  E lo fa naturalmente guardando il mare, da una banchina, dove i veneziani, raccolti in gruppetti, guardano i raggi che con precisione geometrica si riducono all’orizzonte.

Alcuni alzano le braccia al cielo in gesti di meraviglia, preghiera o disperazione, altri rimangono attoniti con la testa in su, di alcune donne si intravedono le crinoline e i veli, ma in generale sono piccole sagome che rappresentano un’umanità varia unita davanti ad una scena straordinaria.

La notte inghiotte il lato sinistro del paesaggio, mentre i pescatori si fermano e anche le nuvole sembrano disfarsi nella luce che sparisce, mentre i contorni degli edifici lontani mantengono un leggero bordo bianco che aumenta l’idea della luce mangiata dalle ombre.

E’ un momento paradossale, fermo ed insieme in movimento, in cui le cose cambiano perdendo il proprio senso, ma solo per poco, per qualche minuto. Un tempo rapido in cui però ci affacciamo su una realtà alternativa, una realtà che fino a quel momento avevamo creduto impossibile e che pertanto rende tutto possibile.

Ma grazie a dio le cose poi tornano si sistemano, e questo momento che Caffi dipinge in cui ho pensato che il sole si stesse spegnendo potrebbe invece essere quello in cui il sole riprende il suo posto, in cui la luce torna, in cui il buio, padrone per poco di un regno che non è il suo, perde la battaglia.

La bellezza di questo quadro è quindi l’ambiguità della lettura, non sappiamo se stiamo guardano l’inizio o la fine, il momento del terrore o quello del sollievo perché il pericolo è scampato.

L’eclisse di Caffi racconta il momento dello stupore e della paura, perché l’eclisse, nel suo essere rottura delle regole è terrore e speranza insieme. Dimostra come la rete della realtà che noi crediamo immutabile abbia invece delle maglie rotte, dei buchi in cui si può infilare la mano e portare dentro qualcosa che non le appartiene per dare una sbirciata all’altra parte.

Ma dimostra anche che si può sopravvivere ad un cambiamento improvviso, ad un imprevisto sconvolgente, basta non perdere troppo la calma e aspettare che passi, che le cose ritrovino il loro posto e noi con loro.