La teoria del fritto


Ufficiosamente / lunedì, Marzo 10th, 2014

frappeCome dicevano tutte le nonne: fritta è buona pure una ciabatta. La grande saggezza popolare non sbaglia mai.

Chiunque abbia un rapporto gioioso col cibo ritiene il fritto una componente fondamentale della propria dieta. Produttore di serotonina, ormone del buon umore e del grasso che ottunde i sensi, oltre che di quell’olezzo che può scacciare le zanzare e i corteggiatori molesti.

Il fritto è un ottimo amico, ci tiene sempre compagnia nei momenti di depressione, di noia, di spossatezza.

Quando non sappiamo con chi parlare basta mangiare un pacchetto di patatine davanti ad un film e la bocca sarà adeguatamente occupata, farà un rumore soddisfacente e ci farà, appunto, sentire meno soli.

Il fritto si muove agilmente nei momenti più importanti della nostra vita, nelle feste prima di tutto, come il Natale o il Carnevale, o semplicemente la Primavera, regalandoci le zeppole di san Giuseppe come un dono che dovrebbe essere per i papà, ma che in realtà riguarda soprattutto i figli.

Il frutto dell’olio bollente ci si presenta sempre in forme nuove e sorprendenti, magari anche sotto forma di gamberetto impastellato e poi inserito in un roll di riso a ricordare che anche il sushi, sinonimo di mancanza di condimento e crudità, può essere vinto dalla sua potenza.

Perché è potente, non si può negare, racchiude insieme il desiderio di croccantezza, di sapore, di unto, che ognuno possiede nell’intimo e lo sublima in un pezzo di carta che assorbe l’olio in eccesso.

Ma la patata è quella che meglio rappresenta la mia teoria del fritto. Tagliata a mano, adagiata in abbondante olio d’oliva, tirata fuori bollente e posata ad asciugare sottile ma comunque compatta. La sua poetica crosticina dorata, che fa un rumorino sonoro e morbido insieme, sembra parlaci sommessamente, congratularsi per la nostra capacità di saper scegliere il meglio e di non ascoltare le urla infamanti dei trigliceridi e del colesterolo, nemici invidiosi di ogni felicità.

Forse è questa sua capacità di comunicare che ci conquista, quel suo porsi con disponibilità al nostro morso come, per esempio, sa fare solo la mozzarella in carrozza, che sembra sapere sempre di cosa hai bisogno e si pone come un accogliente momento di genuina goduria.

Così ritorniamo all’inizio, a quanto il fritto sia buono e giusto, per ricordarvi che quel mozzichino là alla frappa, non sarà solo un peccato veniale, ma anche un momento di riappacificazione con se stessi, che ogni tanto va fatto perché la vita non è sempre una strada in discesa, ma se sarà un po’ unta filerà via sempre un po’ meglio.

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