Lunedì macchiato


Ufficiosamente / lunedì, Luglio 2nd, 2018

Oggi è un grande Lunedì, uno di quelli con la L maiuscola, uno di quelli che ti fanno pensare non solo che la fine del mondo è vicina, ma che forse non sarebbe poi così male.

Per questo ho deciso di dedicarmi alla disamina di uno degli inconvenienti che accadono più comunemente in questo infausto giorno: la macchia.

La macchia tende ad essere attratta dai capi bianchi. Più è bianco l’abito e più è scura e larga lei. Se poi mi viene l’idea geniale del total look in white, magari per una cena estiva, questa chiamerà parenti e amici e ci si uniranno per vivacizzare l’aspetto prima immacolato che avevo.

Il budino al cioccolato è un suo subdolo alleato. Di solito mi colpisce all’improvviso, quando cerco di aprirlo, la copertura esplode in milioni di piccole goccioline che, come una bomba a grappolo, atterrano su tutto nell’area di un metro, e di solito centrano in pieno il petto come una scheggia di proiettile. E sempre quando non ho la possibilità di cambiarmi.

La marmellata invece si poggia con un movimento morbido approfittando della mia poca coordinazione mattutina mentre il caffè è il principe della pausa in ufficio. Il problema è che io non bevo caffè, quindi è il caffè di qualcun altro che, contro ogni legge della fisica, decide di macchiare me piuttosto che il suo bevitore.

Il fondotinta si versa nei momenti più strani, di solito quando sono più sicura di essere al sicuro, e centra i pantaloni, neri, perché la macchia del fondotinta è chiara. Invece per le magliette lo fa quando sono ancora in negozio, al momento della prova in camerino, e spesso mi costringe a comprare il capo perché faccio parte dell’esigua schiera delle persone oneste.

Sempre nell’ambito dei trucchi, il più subdolo però è il rossetto, che si piazza sui denti sempre quando non controllo come l’ho messo e sempre quando vorrei fare bella figura.

Ci sono poi dei cibi simpatici, come il gelato, la panna, ogni tipo di crema o bibita gassata, che guizzano lontano dalla mia bocca nel momento in cui li desidero di più e decidono che continueranno a farmi compagnia posandosi su una manica, sulla gonna, o rimanendo stampati su un angolo della faccia finché qualche anima candida non me lo farà notare.

Il sugo è un capitolo a parte, vive di vita propria da sempre, sa che io so quanto sia pericoloso e quindi è costantemente in guerra con me. Una guerra che combattiamo sempre all’ultimo sangue a colpi di tovaglioli, tra pasta e polpette.

Questo perché non sono una di quelle che credono nella difesa attiva, ovvero l’uso dello smacchiatore, perché anche lui è complice e produce la sorella della macchia: l’alone. Alcuni invece applicano una difesa passivo aggressiva, ovvero cercano di non macchiarsi. E per non macchiarsi esistono solo due modi: usare tovaglioli delle dimensioni di tovaglie o non avvicinarsi neppure a quei cibi e oggetti che potrebbero generarla.

Ma come avete capito anche qui io mi trovo in difficoltà, sia perché non sono abbastanza pronta da portarmi dietro tovaglioli giganti, sia perché non posso pensare di rinunciare a niente, figurarsi a qualcosa che mi piace come il budino o la panna.

E quindi mi ritrovo ancora nel mio ouroboros personale, un circolo vizioso fatto di tentazione, abbandono alla tentazione, macchia, smadonno, e poi di nuovo tentazione, e via di seguito, in un percorso infinito che vede me e la macchia non come vincitrice o vinta, ma come compagne che si rincorrono in quello strano viaggio che è la vita.

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