Per litigare ci vuole il fisico. Teorie del litigio parte II


Ufficiosamente / mercoledì, Luglio 31st, 2013

cat litigioSe ho già raccontato le varie metodologie per iniziare un litigio (cfr. http://piantatastorta.altervista.org/hai-detto-a-me-tecniche-di-litigio-e-giustificazione/), devo ammettere che pure per litigare bisogna avere il fisico. E io sono sempre stata una mammoletta.

Quello che mi manca non è lo sprint, perché riesco anche a partire con una bella falcata, ma è la resistenza, perdo subito il fiato e dopo poco rallento fino a quasi fermarmi, mentre l’antagonista non solo mi oltrepassa con una spallata, ma mi distrugge superandomi ampiamente.

Io credo che sia un problema di mancanza di allenamento. Ho vissuto in un ambiente dove il conflitto era occasionale e la voce alta poco sentita, così mi mancano le basi per una competizione su questo campo.

Eppure ogni tanto ci provo, ma mi rendo conto che non riesco proprio a inserirmi in gara, anche se esistono vari modi per litigare.

Qui tralascio il litigio telefonico e quello informatico, che avviene via chat di Facebook o whatsapp, a cui mi riservo di dedicare ampio spazio in altra occasione, ma mi concentro su quello vis à vis, basato sull’incontro “fisico”.

C’è il litigio urlato, ovvero si urla insieme, cose opposte, e nessuno ascolta l’altro, di solito finisce quando si esce contemporaneamente dalla stanza o di casa. Oppure il litigio monocorde, quello in cui urla uno solo e l’altro si prende la strigliata facendo finta di sentire ma pensando in realtà “chi me l’ha fatto fare”, poi quando il primo smette di urlare e sembra che la storia sia finita, l’altro dice qualcosa, sempre a bassa voce, e si ricomincia da capo. C’è il litigio subdolo, quello in cui non si urla molto, ma si dice troppo, ovvero gli insulti sono freddi e mirati e di solito, anche se il tono rimane basso per non far sentire ai vicini, qualche piatto del servizio buono regalato dalla nonna può sempre “scivolare per terra” e decretare il passaggio al litigio urlato.

Io vorrei fare il litigio subdolo, ma dopo i tre minuti passo a quello urlato e dopo sei passo a quello monocorde, in cui naturalmente quella che sta zitta sono io.

Questo perché all’inizio ho ben chiaro il motivo della discussione, le mie motivazioni, le idee che devo esporre e la linea che voglio dare al confronto, ma dopo la prima risposta che ricevo, a cui non sono mai preparata, mi si incasina tutto il discorso e la strategia va a ramengo.

Certe volte penso che sia anche colpa del mio atteggiamento, inconsciamente parto già sconfitta, già mi sento una che le buscherà perché non sono mai veramente sicura di me stessa. Eppure, certe volte, forse a causa della mia cultura cattolica, non posso fare a meno di sperare, ovvero di pensare che potrei farcela in qualche modo, magari con una botta di fortuna, magari usando l’effetto sorpresa e confondendo l’avversario e riuscire a ricordarmi per più di un minuto e mezzo quello che volevo dire.

Così ogni tanto ci casco, provo a litigare, ma non ce la faccio mai, alla fine finisco sempre pesta, ma forse è meglio: ho un’altra cosa di cui lamentarmi.

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