Senza scatto, quando la natura maligna non ti fa fotogenica


Ufficiosamente / martedì, Luglio 24th, 2012

La natura è maligna, soprattutto quando non ti dà il dono della fotogenia, ovvero del venire bene nelle foto. Conosco dei rospi culosi che davanti ad un obiettivo diventano delle principesse tutte occhi e bocche perfette, mentre io, nell’attimo dello scatto, mi trasformo nella sorella simpatica di Shrek.

C’è stato un periodo in cui pensavo di essere vittima della maledizione di qualche fata madrina cattiva che, perché non invitata al battesimo, nottetempo si chinava sulla mia culla di neonata e mi regalava questo incantesimo “Sarai bellissima dal vivo ma una ciofeca ogni volta che ti fotografano, così ai posteri lascerai solo immagini di te brutta come una caduta dalle scale”. Magari la fata malvagia l’avrebbe detta un po’ meglio, ma il senso è quello.

Vi rendete conto del dramma che può essere, in una società dove apparire è tutto, dove la foto va pure nel curriculum, non venire mai bene o almeno come si vorrebbe? E soprattutto quando tutte, ma dico tutte, le tue amiche vengono benissimo e possiedono un iphone che vogliono sempre usare per farsi fotografare con te? Forse perché sanno anche che stanno ancora meglio con te vicino non soffrendo proprio il paragone.

Credo che le uniche foto decenti che possiedo siano dell’epoca dell’analogico, ovvero del rullino, quando ancora non avevo preso coscienza del problema, le foto erano sempre un po’ mosse o in bianco e nero, e tendevo anche a non accorgermi se venivo fotografata. Ho degli scatti da neonata strepitosi, appunto perché non sembro io.

E non sembravo talmente io che pure mio fratello, alla veneranda età di quattro anni, quando mi odiava per la sindrome del “fratello maggiore abbandonato per l’arrivo della nuova inquilina” credendo di avere tra le manine paffute una mia immagine di neonata la faceva in mille pezzi per scoprire, grazie al tempestivo intervento della mamma, che invece ritraeva lui. Questo piccolo puzzle bianco e nero incollato alla bell’e meglio è diventato leggendario e campeggia ora all’apertura del suo album di foto da piccolo.

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Se penso poi all’arrivo del digitale devo dire che non mi ha mai aiutato, nonostante il fotoritocco sia diventato alla portata di tutti, l’aumento della risoluzione, ovvero della definizione, non ha fatto che evidenziare questa mia incapacità di rimanere in una posa decente.

Quindi, per evitare di sembrare sempre Mr. Potato, ho raggiunto la conclusione che l’unico modo per sopravvivere è farsi fotografare il meno possibile. Ma c’è un’occasione che non posso evitare, un tipo di foto da cui non si sfugge, come la maledizione della fatina: la fototessera per i documenti. E là scatta la tragedia.

La tragedia nasce dall’ineluttabilità dell’azione, ovvero queste foto le devo fare per forza, oltre che dalle modalità di realizzazione: trovare una macchinetta che non sia stata oggetto di attività improprie da parte di vandali e barboni o un fotografo che le faccia senza chiederti l’equivalente di un servizio fotografico.

Sono stata capace di non rifare la carta d’identità e farmela rinnovare col timbro per non fare nuovamente le foto. Così, proprio perché non ho rifatto la carta d’identità, mi è toccato fare il passaporto, ovvero cercare la marca da bollo dal tabaccaio, fare la fila alla posta per pagare il bollettino, compilare un modulo in cui non so se ho i capelli castani (colore naturale) o rossi (colore attuale), fare la fila in questura e soprattutto sottopormi alla tortura della fototessera.

Ci ho girato intorno per una settimana, alla fine ho fatto come con le analisi, ho trovato un laboratorio a fianco ad un bar dove vado qualche volta a fare colazione, ho preso un latte macchiato schiumato fino all’inverosimile, un cornetto semplice con l’aggiunta di una mini bomba al cioccolato e, stordita da tutti quegli zuccheri, sono andata a posare per ottenere l’ultimo tassello che mi avrebbe aperto le porte di tutti gli aeroporti del mondo.

Sono ripassata sotto le mie personali Forche Cautine: quello gabellino in cui ti fanno sedere davanti a un muro bianco e ti dicono di stare a bocca chiusa, togliere gli occhiali, scoprire le orecchie, quest’ultima cosa credo la facciano proprio per farmi venire peggio, e guardare l’obiettivo.

E mentre guardavo l’obiettivo che già mi derideva un unico pensiero mi sollevava: del resto non ho poi delle brutte orecchie.

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4 Commenti a “Senza scatto, quando la natura maligna non ti fa fotogenica”

  1. “Riprendendo in mano” l’articolo, che ho commentato in FB subito dopo la sua pubblicazione, ho visto la bella fotografia in esso inserita. Spero che sia della sua autrice, anche perché darebbe motivo a chi la guarda di apprezzare maggiormente la sua ironia intelligente, caratteristica di questa come delle pagine che l’hanno preceduta. Vittoria Maltese (Bartolucci)

  2. Mi viene il dubbio che tutta questa riluttanza nei confronti della macchina fotografica finisca per creare un alone di mistero e di fascino intorno all’immagine della scrittrice! E’ la prima volta che leggo una tua pagina e ti faccio i miei più sinceri complimenti! Hai ragione quando dici che viviamo in “una società in cui apparire è tutto”, ma la bellezza vera è quella che abbiamo dentro e tu, sicuramente, sei bellissima!

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