Sul cucuzzolo della montagna


Ufficiosamente / lunedì, Settembre 18th, 2017

Sarà perché il 2017 è stato l’anno delle nuove esperienze, l’anestesia totale, il licenziamento, il trattamento idratante ai capelli, che ho deciso di provare qualche cosa di nuovo anche per le vacanze: la montagna.

Lo ammetto, in quarantuno anni non avevo mai fatto una vacanza in montagna, non so se dipenda dalle mie origini provinciali, o meglio di collina, fatte di vacanze infantili in campagna, per cui ho sempre soddisfatto la ricerca dell’aria buona e del verde in questo modo, o forse perché il mare e l’abbronzatura più omogenea che ne deriva sono sempre stati più interessanti per me.

Sta di fatto che quest’anno ho voluto confrontarmi con un “approccio dolce” a questa nuova tipologia di vacanza e per questo, grazie al mio agente di viaggio personale, perché io non sono capace di organizzare neanche cosa mangerò a pranzo oggi, figurarsi un itinerario di viaggio, sono partita per questa nuova esaltante avventura.

E proprio di avventura si è trattato perché ho scoperto che la “vacanza in montagna” implica prima di tutto la dotazione di un’attrezzatura adeguata. Quando si affrontano le vette non si può pensare di fare come al mare: un costume, un asciugamano pure comprato da un venditore ambulante sul momento a 5 euro e i piedi nudi, in montagna ci vuole l’abbigliamento tecnico.

Niente maglietta di cotone scolorito e pareo, ma maglietta in tessuto traspirante, pantaloncino con tasche per ogni cosa, calzettoni che proteggano le gambe, visto che abbiamo appunto il pantaloncino, e per finire, cosa veramente fondamentale: scarpe ideate apposta per i terreni di montagna, chiuse, dalla suola rigida e possibilmente alte alla caviglia. Ma non finisce qui, il vero viaggiatore della montagna ha uno zaino anch’esso tecnico, con lo schienale anch’esso traspirante e ergonomico, spallacci con cinghie che ti avvolgono alla vita e sul petto, zip, tasche e taschine.

Lo zaino è l’equivalente di una borsa da ufficio, dentro ci deve stare tutto quello che ti può servire in un posto dove è difficile trovare un bagno, quindi borraccia, cibo che va dalla barretta proteica al panino burro e salame, caricabatterie portatile per il cellulare, fazzoletti, bustine per metterci la tua immondizia perché sei una persona civile, giacca a vento impermeabile e anche un maglioncino in pile se hai in mente di andare veramente in alto o già ti vedi dormire all’addiaccio perché ti perso nella foresta. Bisognerebbe portarsi pure il coltellino svizzero, ma quello rimane invariabilmente in qualche cassetto a casa.

I veri scalatori si muniscono anche di bacchettine per aiutarsi nelle camminate, ma io ho rimandato la spesa alla prossima avventura, visto che ho dovuto prendere tutto il resto dell’attrezzatura, lasciato il coltellino nel cassetto e mangiato troppi panini burro e salame.

Una volta abbigliata e riempito lo zaino, sono pronta ad affrontare la natura, che si erge maestosa in panorami mozzafiato proprio davanti a me e mi regala gradevoli temperature primaverili in questa estate torrida.  Qui scopro che la montagna non è fatta solo di salite impervie, ma anche di bivi, come quello che mi impone di scegliere tra avventurarmi in sentieri degni delle più sfacciate caprette tibetane o prendere una teleferica che viaggia venti minuti nel vuoto per portarti a 4000 metri d’altezza, in un posto che sembra la Fortezza Nera di Trono di Spade.

Dovendo scegliere tra fatica e terrore naturalmente scelgo terrore, quindi mi aggrappo ai regimano, dico una preghiera e mi appresto a guardare un punto fisso all’orizzonte che non mi dia la percezione del vuoto sotto di me. Così arrivo sopra, dopo essere passata nei fatidici venti minuti da ventotto a zero gradi, tiro fuori il maglioncino in pile e la giacca a vento dal mio zaino tecnico, mi giro per uscire e vedo una sdraiata sul fondo della cabina, che ha avuto un attacco di mal d’aria, mentre io, che per un attimo ho pensato di aver bisogno di una busta per vomitare, sono rimasta in piedi apparentemente serenissima e senza problemi. Quel momento lo segnerò sul mio libretto delle rivincite contro la vita come uno dei migliori.

E forse anche per questo mi sento un po’ John Snow e godo il giro sulla “Barriera”, che è correlata di corvi neri che aspettano qualche pezzo di panino dai turisti, non sento il freddo nonostante il vento e accetto anche il giro su un’altra funivia che però chiude prima che possiamo prendere il biglietto. Che disdetta.

Ma la visita diventa ancora più notevole quando vedo un nuovo tipo di animale fantastico: l’alpinista. Una creatura sottile fatta di corde, caschetti, abbronzatura e, sembra, poca igiene personale, che si accuccia tra le rocce, si aggrappa sui precipizi, cammina sui costoni innevati o peggio, spunta da sotto una terrazza dopo essersi arrampicata da un punto imprecisato sotto di noi.

L’alpinista è la sublimazione di quello che ho visto fino ad ora, ovvero il vero spirito della montagna, fatto di attività fisica costante. Che sia camminare, correre, andare in bicicletta, tutti devono fare qualcosa quando stanno in montagna, non possono pensare di trovare semplicemente un albero e mettersi con un asciugamano steso a prendere il fresco. E se lo fanno, devono arrivarci dopo ore di passeggiate possibilmente su tratti impervi, superando ortiche, vespe, salite scoscese e qualche terreno franoso.

Ma non fatevi ingannare, tutta questa attività frenetica che prende chiunque metta piede in montagna non è motivata da un desiderio innato di migliorare il proprio stile di vita, non nasce dal Dio del Benessere che potrebbe baciare sulla fronte chi si azzarda a guardare quelle salite, ha una motivazione più bieca e sottile: ogni camminata, corsa e pedalata ha il fine ultimo di bruciare il senso di colpa e le calorie ad esso collegate.

Qui infatti, a differenza del mare, dove si mangia l’insalatina, la frutta fresca, il pomodoro a mozzichi, qui dicevo, in ogni angolo trovi qualche rifugio, qualche baretto o chiosco in cui si propongono e consumano tocchi di pane e salumi, formaggi, frittelle, tutto ripassato nel burro d’alpeggio e nel vino, in un tripudio di lattosio e grasso animale che ti fa sentire talmente in colpa da spingerti a muoverti come fossi un criceto sulla ruota per negare a te stesso quello che sei stato capace di mangiarti.

Ecco quindi spiegata tutta questa baldanza quando al mattino si guarda fuori dalla finestra e si ammira il ghiacciaio, perché tutti lo sanno che il freddo tonifica e dopo la cena della sera prima il minimo sarà cercare di tonificare.