Aria d’Estate, “Grano maturo” di Filippo Palizzi


Ma l'arte serve? / lunedì, Giugno 5th, 2017

Sono passati due anni dall’Unità d’Italia, è il 1963, il paese è ancora lontano dalla pacificazione nazionale e il pittore Filippo Palazzi racconta l’Estate partendo da un campo di grano.

E’ un momento in cui la modernità batte i pugni sulle porte dell’arte e non tutti sono d’accordo nel farla entrare. Tra quelli che vorrebbero introdurre cambiamenti c’è il nostro artista, abruzzese di origine e napoletano di adozione, fratello di un altro artista, Giuseppe, che insieme a lui guarda a Parigi e alle sue novità come necessarie per lo sviluppo dell’arte italiana.

E non a caso tra i suoi quadri più famosi vediamo giovani popolane che guardano un punto oltre l’orizzonte o oltre un muro, in un invito esplicito ad andare oltre quello che facilmente abbiamo davanti agli occhi.

In “Grano maturo” Palizzi parte da un campo e grazie alla preziosa resa coloristica dei papaveri e delle spighe racconta la freschezza della pittura “en plein air”.

Con sottile precisione esprime la fedeltà del vero nella resa delle foglie, dei rami, dei fili d’erba, in una composizione tutta verticale grazie al tronco dell’albero che segue le linee del filare di grano. Grano che quasi sembrerebbe un muro naturale, tanto alto da coprire la testa della contadina, ma che mantiene la mobilità dell’aria grazie alla luminosità intensa degli steli e delle spighe.

Così la luce del campo sembra riflettersi nel cielo, che ha una tonalità calda e gialla come tutta la composizione, in una visione palpitante di calura estiva.

La contadina si muove tra le spighe regalando un altro elemento di profondità ariosa alla composizione e nello stesso tempo perdendo di definizione nei contorni, perché il colore che la dovrebbe definire viene a sua volta assorbito dalla luce e dall’aria.

Intanto il vento caldo dell’Estate fa muovere impercettibilmente le spighe e le pieghe della gonna della contandina, in quel momento che precede la mietitura, quando il grano ha reso il massimo e aspetta di cambiare vita, di diventare farina e, finalmente, pane.