Le bolle di sapone di Jean-Baptiste Siméon Chardin


Ma l'arte serve? / lunedì, Ottobre 22nd, 2018

Un giovane affacciato alla finestra è intento in un gioco che conosciamo tutti: fare le bolle di sapone. Grazie ad una sottile cannuccia, realizza una bolla di tutto rispetto, simile ad una palla di vetro, mentre una piccola figura con un cappello piumato che dovrebbe forse farlo sembrare più alto, un bambino bassottello, lo guarda ammirato allungando il collo.

Datato al 1734, come denunciano gli abiti, sembra semplicemente una delle solite immagini di “genere”, ovvero scene di vita quotidiana, prodotta da un pittore diventato famoso proprio per le sue “scene di genere”: Jean-Baptiste Siméon Chardin.

Tuttavia quello che vediamo non è semplicemente il racconto di un gioco, ma nasconde nella sua semplicità spensierata una riflessione più interessante.

Il giovane, infatti, rappresenta una metafora della “vanitas”, la vanità, ovvero un monito molto comune nella storia dell’arte con il quale si ricorda la precarietà delle cose terrene. L’impegno con cui lui realizza la bolla non porta che a produrre un oggetto effimero e di vita brevissima, che non verrà salvato dalla sua bellezza evanescente ma seguirà il suo destino, ovvero rompersi, magari qualche secondo dopo che avrà abbandonato la cannuccia.

Eppure è proprio quella meraviglia della creazione della bellezza che imbriglia l’ammirazione dell’umanità, rappresentata dalla figura in secondo piano, che guarda rapita e forse invidiosa la mirabile bravura nel realizzare qualcosa di magico, anche se non durerà.

La bellezza della bolla di sapone è racchiusa nella sua essenza di sogno impossibile, nasce dal niente e sembra solida e leggera allo stesso tempo, vola in modo imprevedibile e altrettanto imprevedibilmente si frantuma, ritornando quello che era: vento e luce.

E grazie a questa bolla apparentemente innocua Jean-Baptiste Siméon Chardin realizza un paradosso, dipinge un momento di bellezza impossibile da preservare ma così facendo la eterna.

Attraverso l’arte, che rende tutto immortale, trasforma il suo monito in una sorta di ironica rivincita verso il destino, che vorrebbe ricordarci come è fragile la nostra vita, come apparentemente illusoria l’eternità, ma che proprio attraverso la pittura viene ingannato.