I sogni oltre la finestra. Henri Toulouse-Lautrec e La Lavandaia


Ma l'arte serve? / giovedì, Ottobre 25th, 2012

Henri Toulouse-Lautrec è molto sfortunato e molto fortunato insieme. E’ sfortunato perché avrà grandi problemi di salute, morirà giovane dopo esser vissuto ingabbiato in un corpo che non superava il metro e cinquanta con tutte le conseguenze che ne derivavano, ma è stato fortunato perché proveniva da una famiglia nobile e ricca, che gli ha permesso di assecondare le sue inclinazioni artistiche e di essere libero di decidere cosa fosse per lui l’arte e come voleva viverla e realizzarla.

Così diventa un artista “di tendenza”,  apre le porte alla realtà nascosta dell’animo parigino fatta del tepore di letti divisi fuori dal matrimonio, della voglia di evasione nella musica e nella danza ed insieme della tristezza di un tavolo solitario in un bistrot.

Toulouse-Lautrec cerca di fermare l’attimo di un pensiero, di rappresentare la verità di un momento, come nel quadro La Lavandaia, dove una donna che dà le spalle allo spettatore si ferma e guarda fuori dalla finestra. L’interruzione di quello che stava facendo è data dallo straccio sul tavolo, mentre lo sguardo non dipinto resta presente nella coscienza dello spettatore, che guarda insieme a lei verso l’esterno, verso un paesaggio lontano, in un’idea di fuga, di attesa, di impazienza che spesso accade nella vita quotidiana.

La donna guarda fuori e pensa, pensa a qualche cosa o a qualcuno che aspetta e non è ancora arrivato, oppure desidera, desidera di uscire da quella stanza, da quella vita, e vivere qualche fantasia inconfessata che la vede ricca, libera, senza affanni e dolori.

La tensione delle braccia tese che l’aiutano a sostenersi sul tavolo e la spingono in avanti racchiude la tensione di un attimo di concentrazione o meglio, di distrazione dalla realtà e di astrazione.

Un’immagine intima, in cui la pennellata densa diventa sinonimo della potenza di quel desiderio inespresso che per un attimo diventa tanto forte da sembrare impossibile da contenere, perché forse viene meno quella pazienza che l’ha governata, ovvero quella capacità di accettare la vita che ci è capitata per il tempo che ci è concesso.

Un moto di ribellione silenzioso e rapido prima di tornare nei ranghi, prima di riacquistare il controllo delle proprie aspettative, raccogliere lo straccio e ricominciare a lavorare, perché la vita per certi versi è solo un lungo susseguirsi di desideri, alcuni realizzati, moltissimi irrealizzati, che partono da noi ma vivono oltre di noi, oltre la finestra.

 

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