Il dolce val bene una stella – cronache ghiottone


Ufficiosamente / martedì, Ottobre 29th, 2013

tiramisùHo ampiamente parlato della cucina casalinga, così oggi mi voglio dedicare alla cucina mangiata fuori casa, ovvero a quella del ristorante.

Sono cresciuta con la cultura del pranzo fuori la domenica o nelle occasioni speciali, amo mangiare cose cucinate da altri, mi piace l’idea che non avrò piatti e pentole da lavare, ma soprattutto che potrò assaggiare cose prelibate che non so cucinare.

Ecco perché, per una personcina curiosa come me, Roma è un Paradiso: oltre alla già cospicua scelta che offre, ci saranno sempre almeno tre ristoranti per ogni via e ne apriranno altrettanti ogni mese, che si presenteranno come i più fighi e creativi di sempre.

Così ogni occasione è buona per fermarsi fuori a cena o a pranzo, soprattutto se c’è qualche posto che non conosco e quindi è da provare.

Detta così sembra una vita divertente, ma anche dietro l’arcobaleno si nascondono spesso nuvole grigie, ovvero la “sola” (cfr. termine romano per indicare la fregatura, il cattivo affare) è anche lei sempre in agguato.

Anche quando si vuole provare, per la prima volta, una cucina con una stella Michelin. Devo dire di non essermi mai interessata al tema della guida e delle sue stelle, anche su questo il mio spirito anarchico ha avuto il sopravvento, ma quando ti portano in un posto dove si dovrebbe mangiare in modo “stellare” due aspettative alla fine te le fai.

E ancora una volta ho avuto conferma che non bisogna mai avere aspettative. Soprattutto quando ti promettono un menù che nelle pizzerie si chiama a “prezzo fisso” e che invece nei ristoranti di lusso si chiama “degustazione”, dove la sostanza è che pagherai una cifra stabilita per mangiare quello che stabiliscono loro. Se in pizzeria sono portata a non farmi condizionare, in un ristorante che si presenta con il cameriere in livrea tendo ad essere intimidita e molto più accondiscendente.

Il locale è bello, luminoso, comodo, dall’aria giustamente costosa, ci fanno accomodare e ci portano il menù. Confabuliamo circa dieci minuti sulle descrizioni dei piatti, mentre ci versano l’acqua e ci portano il pane, tagliato in fette piccole e composte come tutto il resto. Ma quando stiamo per ordinare, il cameriere ci ferma con un gesto della penna sul blocchetto. “Purtroppo la cucina ha avuto un problema, quindi oggi abbiamo un altro menù”.

Attimo di sgomento, penso ai dieci minuti di concentrazione che ho sprecato per capire cosa avrei mangiato e rimango in attesa di sapere. Il cameriere prende fiato, poi elenca con una rapidità da leopardo “ Antipasto prosciutto e mozzarella, tagliatelle al ragù, vitello tonnato”.

Credo di aver sbattuto le ciglia per circa trenta secondi ininterrottamente. Quando stiamo per chiedere se è uno scherzo lui ci blocca e aggiunge, sempre di un fiato “Ma il dolce, quello è del menù originario, è l’igloo*”.

Quindi non era uno scherzo, sono qui seduta in questa poltrona di pelle bianca, a questa tavola attovagliata in lino bianco, con le candele bianche, il cameriere in livrea bianca e in tutto questo nulla abbagliante sto per mangiare le cose che hanno preso in rosticceria. Non faccio in tempo a dire dove potrebbero posizionare il vitello tonnato che il mio compagno mi fa: “Ma il dolce è del menù”. Ora, la mia golosità è ormai nota, sappiamo tutti che i dolci sono il mio vizio, quindi resistere al dolce stellato è difficile.

L’esitazione è fatale. Il cameriere la prende come un silenzio assenso e chiude l’ordinazione togliendoci i menù, che avevamo mantenuto in mano, inutili come un film muto in un raduno di ciechi.

Non posso credere a quello che sta succedendo e, prima di avere il tempo di scappare o almeno rendersi conto dell’affronto a cui ci sottopongono, arrivano gli antipasti, poi i primi e i secondi, che mangiamo in modo automatico, sperando che finisca presto.

Ma proprio quando sto per esprimere un pensiero velenoso come il cianuro arriva il dolce, unico superstite di quel sogno gastronomico infranto. E mi fa scordare tutto il resto.

Il dolce era stellare, ho mangiato in rosticceria, ma forse per questo, è stato un raggio di sole in quel bianco senza luce.

* nome di fantasia per non in quanto il vero nome contiene il nome del ristorante che non viene citato per paura di ritorsioni alimentari e non.

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